La mostra
La mostra “Il Museo della Filosofia: le prime stanze” si articolava in due sale. La porta di ingresso era un grande libro aperto. Non si trattava solo di un omaggio a uno degli strumenti di lavoro del filosofo, ma anche di una metafora performativa: i libri bisogna attraversarli per guardare in forma nuova i problemi di cui ci parlano.
Attraversato il grande libro, liberamente ispirato a un’opera di Vincenzo Agnetti – si entrava nella prima sala: una sala introduttiva, dedicata alla natura dei problemi filosofici e dei metodi con cui possono essere affrontati.
I primi passi di chi entrava erano guidati da pannelli espositivi e da schede di approfondimento, ma soprattutto dalle parole delle studentesse e degli studenti di filosofia che hanno fatto da guide agli oltre tremila visitatori che in poco più di due settimane hanno visitato la mostra.
Per far luce sulla natura del lavoro filosofico non abbiamo utilizzato soltanto il discorso dei filosofi, ma abbiamo anche proposto delle immagini. Wittgenstein diceva che la forma di un problema filosofico è “non mi ci ritrovo” e per questo nella prima stanza c’erano i labirinti di scrittura e un vecchio gioco: il Labyrinthspiel.
Un groviglio di tubi all’ingresso riproponeva visibilmente l’immagine della filosofia come una “idraulica dei concetti” proposta da Mary Midgley: l’idea secondo cui molti problemi filosofici sono problemi di natura concettuale, che sorgono quando si cerca di analizzare nozioni che normalmente utilizziamo in modo non riflessivo. Chi sono io? Che cos’è il tempo? Che cosa vuol dire essere liberi? Che cosa significa essere moralmente responsabili per qualcosa? Queste domande sono così tipicamente filosofiche proprio perché molte delle questioni che sollevano richiedono un lavoro di chiarificazione concettuale.
Vi sono molti e diversi strumenti di cui il filosofo si avvale per cercare di venire a capo delle oscurità concettuali in cui ci si imbatte. Ci siamo soffermati soprattutto su due di questi: la costruzione di esperimenti mentali da un lato, e la formulazione di paradossi, dall’altro.
Su queste basi, i visitatori erano pronti a spostarsi nella seconda sala, dove era possibile esercitarsi e giocare (letteralmente!) con paradossi ed esperimenti mentali per apprezzarne il ruolo euristico nell’indagine filosofica.
Il Gioco dell’oca sull’identità personale, per esempio, illustrava diverse teorie sull’identità personale attraverso un viaggio negli esperimenti mentali di cui i filosofi si avvalgono per sostenerle. All’inizio ogni giocatore doveva adottare una teoria, scegliendo tra la teoria dell’io come psicologia, la teoria dell’io come corpo o la teoria dell’io come cervello. Ogni casella sul tabellone corrispondeva poi allo scenario di un diverso esperimento mentale (scenari come il teletrasporto, il trapianto di cervello, la fissione, le metamorfosi…). Quando, tirando i dadi, si arrivava su una certa casella, si doveva indovinare se, secondo la “propria” teoria, quello era uno scenario in cui si sarebbe sopravvissuti o meno. Se indovinava, poteva procedere lanciando di nuovo il dado. Si poteva anche cercare di “far fuori” i gli avversari spostando le loro pedine su caselle-scenari in cui, secondo le “loro” teorie sull’identità personale, non sarebbero sopravvissuti.
Nel gioco sul paradosso della finzione, le tre proposizioni reciprocamente incoerenti che danno origine al paradosso corrispondevano a tre diverse carte : ai giocatori veniva chiesto di risolvere il paradosso scartando una delle tre e pescando un’alternativa adeguata da un mazzo di carte che descrivevano diverse teorie filosofiche. Così, per esempio, chi scartava la proposizione secondo cui possiamo provare autentica compassione per Harry Potter, avrebbe potuto scegliere la carta che descriveva la teoria delle “quasi-emozioni” di Kendall Walton.
Al paradosso della finzione era affiancato il paradosso della percezione – i tre cassetti di una cassettiera corrispondevano alle proposizioni della triade incoerente di cui il paradosso consta, e contenevano oggetti e testi che le illustravano in modo intuitivo.
Per esplorare ulteriormente le complesse relazioni tra immaginazione, credenze ed emozioni, abbiamo poi replicato una serie di famosi esperimenti psicologici in cui i partecipanti erano invitati a fare cose come mangiare cioccolatini a forma di escrementi di gatto, firmare un patto in cui si cede la propria anima al diavolo, o indossare il pullover (perfettamente sterilizzato) che (così veniva loro detto;)) è appartenuto a un serial killer.
La seconda sala includeva inoltre un gioco sui famosi ‘dilemmi morali del carrello ferroviario’ (trolley problems), e una serie di video-animazioni su diversi temi e problemi filosofici.
Per concludere la visita, non poteva mancare il “gioco della Scuola di Atene” – in cui i visitatori dovevano decidere se sostenere Platone o Aristotele; poi potevano anche scattare una foto ricordo che li ritraeva nei panni dell’uno o dell’altro.
Gli esperimenti mentali e i paradossi illustrati in queste prime due sale sono discussi più nel dettaglio in due volumetti della collana Le scintille, nata insieme al progetto del Museo della Filosofia per approfondire i temi e i problemi che in esso trovano spazio.
Queste prime due sale non sono attualmente visitabili:.
il 21 novembre del 2019 abbiamo dovuto impacchettare tutti i materiali e trasferirli in un deposito, in attesa di trovar loro una nuova casa stabile.
Eravamo fiduciosi che ci saremmo presto riusciti: le voci che si erano dichiarate entusiaste del progetto erano davvero tante e questo ci faceva pensare che l’idea di un Museo della Filosofia non fosse un capriccio, ma un’esigenza reale. Tra queste voci c’era quella di Giulio Giorello che ha sostenuto con forza questo nostro progetto, ripetendoci che era certo che avrebbe avuto un solido futuro. C’era inoltre anche la voce – che possiamo ascoltare qui – delle studentesse e degli studenti che hanno lavorato come guide e che non hanno mai smesso di manifestarci il loro entusiasmo e la loro voglia di continuare a collaborare. Oggi possiamo finalmente dire che avevamo ragione: il Museo riaprirà presto in pianta stabile, a Città Studi.